Il mio intervento al Forum euroasiatico delle donne a San Pietroburgo: “La partecipazione della donna alla crescita democratica delle nostre società”

È un grande piacere partecipare a questa conferenza. Desidero ringraziare la Presidente Karelova per avere preso l’iniziativa, e rivolgo un cordiale saluto a tutti i partecipanti. Sono particolarmente lieta di poter prendere la parola sul ruolo che la  donna deve avere nel progresso sociale e civile dei nostri popoli; nell’affermazione e nello sviluppo di democrazie basate sullo stato di diritto, sulla universalità dei diritti umani, sul rispetto delle libertà fondamentali per ognuno, indipendentemente dal genere o dalla nazionalità.

L’essenziale ruolo della donna nella società, e credo di esprimere un convincimento che accomuna molte delegazioni in questa sala, parte dal valore della famiglia. Sono sempre stata critica nei confronti di un individualismo post femminista che tenda a isolare la figura femminile dal suo contesto socio-famigliare. Non ho mai creduto che sottolineare questa specificità delle donne fosse in contrapposizione con la giusta rivendicazione di un ruolo proprio nel mondo del lavoro o nella società in generale Anzi, è proprio questo il motivo per cui ho sempre sostenuto nella mia attività istituzionale delle azioni politiche che favorissero la natalità e nel contempo delle azioni politiche che potessero aiutare le donne a conciliare il loro ruolo di madri con la professione che amano e che permette loro di realizzarsi compiutamente. Andando anche a rimuovere tutti quegli ostacoli, spesso non scritti in alcuna legge, ma che di fatto relegano la donna in un ruolo marginale e sottomesso attraverso alcune disparità di trattamento sul posto di lavoro. Non c’è solo questo naturalmente, c’è anche bisogno di assicurare alle donne ogni possibile aiuto all’educazione dei propri figli e alla loro formazione identitaria, intesa come trasmissione del patrimonio di tradizioni che distingue i popoli e li arricchisce. È un ruolo che le scuole devono saper svolgere senza nulla togliere alla propria identità culturale, ma promuovendo con convinzione anche la cultura del dialogo e del rispetto, dentro e fuori il nucleo familiare, come antidoto alla violenza domestica e alla violenza in generale.

Insomma compito della politica è quello di ricercare con determinazione un delicato equilibrio tra diritti e doveri, tale da non scadere nel femminismo più becero di recente manifestazione, ma neppure nella umiliante ghettizzazione della donna di antica memoria, più o meno ovunque nel mondo. Solo pochi giorni fa, un rapporto della Banca Mondiale ha rilevato limitazioni e lacune nella legislazione  di numerosi Paesi: una perdurante assenza di leggi sul congedo parentale, il divieto di accesso per alcuni lavori e professioni, la necessità del permesso del marito per le donne sposate che vogliono lavorare. Una pratica ahimè fin troppo diffusa e radicata in diverse legislazioni mediorientali. Sono ben 32 i Paesi dove le donne possono ottenere il passaporto solo se il coniuge lo consente. Su 173 paesi valutati dalla Banca Mondiale più della metà, 100, continuano ad avere nel proprio ordinamento leggi che limitano la partecipazione della donna alla vita pubblica, la discriminano nella professione, impongono oneri assurdi di natura economica, organizzativa, comportamentali alle loro famiglie. Attraverso la discriminazione femminile, è la stessa crescita economica di una nazione a risultarne fortemente penalizzata, per non parlare del grave pregiudizio arrecato alla democrazia rappresentativa e allo sviluppo sociale di qualunque popolazione.

Sono ben 950 i casi di diseguaglianze registrati dalla Banca Mondiale. Poiché le donne rappresentano circa la metà della popolazione del pianeta, e sono quindi 3 miliardi e duecento milioni, è davvero impressionante l’impoverimento di potenzialità causata dall’emarginazione femminile. “Quando le donne possono lavorare, gestire i loro redditi, fare impresa, il beneficio va ben oltre il livello individuale: va ai figli, alle comunità, ad intere economie”, ha sostenuto il presidente della Banca Mondiale. Per fare un esempio delle resistenze incontrate, basti ricordare che negli ultimi due anni, solo quattro Paesi: Croazia, Ungheria, Kenya e Nicaragua, hanno introdotto riforme sul diritto di proprietà per le donne, e solo due, Egitto e Mozambico hanno adottato leggi per proteggere le ragazze dal sexual harassment nelle scuole e per facilitare il loro accesso all’educazione secondaria.

Secondo gli indicatori del Rapporto in questione: Medioriente e Nord Africa costituiscono la regione più problematica. L’Asia Meridionale si è contraddistinta per alcuni, tuttavia sporadici progressi; nell’Africa Sub-Sahariana le riforme sono state più numerose, così come nell’Asia Orientale e nel Pacifico. Buone leggi sono entrate in vigore anche nel Continente latino-americano. L’Europa e l’Asia Centrale si caratterizzano come le regioni più avanzate per la tutela dei diritti di proprietà, di accesso al credito, di sostegno alla maternità, mentre permangono discriminazioni nel mercato del lavoro.

Sono passati vent’anni dalla Conferenza di Pechino e dieci dal lancio degli Obiettivi del Millennio da parte delle Nazioni Unite. A New York è in corso un intenso dibattito sui nuovi Obiettivi dello Sviluppo sostenibile per i prossimi dieci anni. La condizione della donna, il suo ruolo nelle Istituzioni, nell’economia, nella cultura, nella realizzazione dello Stato di diritto acquisiscono ancor più importanza nel sistema multilaterale dell’Onu, e quindi nell’intera Comunità internazionale. Il traguardo è eliminare ogni discriminazione di genere entro il 2030. Ma il percorso è lungo perché i risultati ottenuti nei primi dieci anni di programmi mirati allo sviluppo sostenibile della condizione femminile hanno dimostrato quanto sia difficile superare la sfida di un riconoscimento pieno, convinto e universale al principio di parità fra i generi. Questo obiettivo di lungo termine potrà essere raggiunto solo a condizione che la democrazia e il rispetto dei diritti umani si affermino in direzione coerente con l’accresciuto ruolo della donna nella società.

L’epocale mutamento geopolitico che si sta determinando in tutti i continenti per effetto del fenomeno migratorio tocca in misura imprevista il Continente europeo, il Medioriente, l’Africa Mediterranea e Sub-Sahariana. Vi hanno pesato negativamente i fondamentalismi religiosi, le ambizioni di dominio regionale, con il loro corredo di influenze esterne ai paesi dove le riforme venivano richieste a gran voce, per essere poi represse. Aggiungerei anche i drammatici errori commessi in interventi militari effettuati senza una chiara e praticabile strategia politica. Sono state proprio le donne e i bambini a ritrovarsi nella prima linea dell’immane sofferenza che si è così prodotta.

Se vogliamo contribuire a rimuovere le cause più profonde di instabilità di cui stiamo tutti subendo le conseguenze, credo che dovremmo onestamente impegnarci in politiche e programmi di sostegno per un ruolo attivo delle donne nelle realtà sociali per loro più problematiche. Mi riferisco in particolare alla relazione che interessa prioritariamente l’Europa, e che credo rappresenti una priorità altrettanto elevata per l’Unione Euroasiatica, con il mondo islamico.

L’Unione Europea ha posto da tempo al centro della propria azione internazionale, come indica l’art. 21 del Trattato dell’Unione Europea, “i principi che hanno ispirato la sua stessa creazione e che si propone di affermare nel mondo: democrazia, stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rispetto per la dignità umana”.

E’ in tale cornice che gli Stati membri dell’Unione intendono rafforzare i loro rapporti, e intensificare il dialogo in particolare con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo, con quelli Africani, e con tutta l’Area Mediorientale.

Se la relazione tra l’Unione Europea e l’Unione Euroasiatica è stata oggetto di visioni non coincidenti, scaturite da contrapposizioni che vorremmo veder finalmente appianate, io sono tra coloro che intravedono innumerevoli complementarità positive e possibili tra le due realtà geopolitiche. Tale prospettiva era stata opportunamente delineata dal Presidente Putin quando scrisse alcuni anni or sono: “l’Unione euroasiatica dovrebbe essere parte di una Europa più grande; l’adesione all’Unione Euroasiatica dovrebbe consentire a ciascuno dei suoi partecipanti di integrarsi più rapidamente e a condizioni migliori nell’Europa”.

Nella situazione di crescente instabilità che caratterizza le regioni europee ed euroasiatiche, penso che la visione di una opportuna complementarità, anziché di una problematica competizione, debba essere rilanciata. Sino ad ora i pro e i contro erano stati valutati esclusivamente sotto il profilo economico. Ovvero si è valutata la convenienza o meno di eventuali liberalizzazioni tariffarie generalizzate, di una maggiore mobilità nei mercati del lavoro, nella trasformazione di produzioni transfrontaliere e via dicendo.

E’ probabilmente giunto il momento di considerare aspetti di maggiore impatto politico, incentrati appunto sulla condizione femminile, che possano favorire comuni obiettivi tra Unione Europea ed Unione Euroasiatica nel sostenere la trasformazione delle società islamiche verso un più moderno riconoscimento del ruolo della donna.

Si tratta di una grande sfida di politica estera, di una attenta strategia per lo sviluppo, e di lungimirante visione culturale. Credo non vi siano dubbi che una comune visione, ad esempio, del ruolo della donna come madre e fondamento della vita familiare corrisponda non soltanto ad una comune identità di valori dei nostri popoli, ma possa costituire un terreno di incontro e di dialogo con il mondo mussulmano.

Molti studiosi osservano che è proprio sulla condizione della donna e l’evoluzione del suo ruolo nella società che si potrà definire una concezione “riformata” dell’Islam.

Viviamo in un’epoca in cui le cause che hanno minato precedenti esperienze di riforma nell’Islam sembrano essersi attenuate. Penso alle disastrose esperienze di governo di forze fondamentaliste, all’analfabetizzazione diffusa, al divario tecnologico. Ed assistiamo con piacere al diffondersi di tendenze dottrinali che si stanno affermando in favore del riformismo, della consapevolezza crescente che un principio di laicità deve ispirare il rapporto tra religione e Stato.

Un concreto dialogo con l’Islam sulla condizione femminile e sui valori di libertà che la Comunità internazionale ha sottoscritto attraverso una pluralità di Trattati e di documenti politici a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, rappresenta, a mio giudizio l’obiettivo che l’Unione Euroasiatica e l’Unione Europea dovrebbero attivamente condividere.

Non sarà facile, non sarà subito, ma sarà giusto.

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