Le tesi di Trieste

TESI DI TRIESTE PER IL MOVIMENTO DEI PATRIOTI

Cento anni fa Trieste non era una città italiana. Le armate austro-ungariche e tedesche dilagavano nella pianura dopo la disfatta di Caporetto, fermate solo sulla linea del Piave e del Monte Grappa. Su quel fronte, nell’incombenza di una catastrofica sconfitta, si cementò il sentimento e la consapevolezza dell’appartenenza nazionale e della libertà minacciata. Si può dire che il vero battesimo dell’Italia unita sia stato celebrato in quei momenti; che uno Stato unitario, fino allora vissuto come tale solo da una ristretta elite risorgimentale, sia diventato un valore da affermare anche negli strati più profondi della popolazione grazie a quella minaccia e alle energie che seppe scatenare. I primi partigiani italiani furono gli istriano-dalmati, i giuliani e i friulani rimasti nelle retrovie a sabotare le posizioni degli occupanti stranieri. Meno di un anno dopo, la reazione vittoriosa di quel popolo finalmente unito portò il tricolore a Trieste, Gorizia, Trento e Bolzano.

Trieste rischiò nuovamente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, di essere strappata all’Italia, e nuovamente lottò con grande sacrificio per tornarci. Questa sofferta esperienza, unita alla convivenza con la brutale cortina di ferro che segnò per quasi mezzo secolo la divisione tra l’Europa libera e quella sovietica, fa di Trieste la più italiana tra le città, ed è proprio da qui che Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale vuole lanciare il suo Appello ai Patrioti, per chiamare a raccolta gli italiani che credono nel valore dell’unità nazionale, vogliono custodire e rinnovare la tradizione del nostro popolo, valorizzare la sua identità culturale e la sua memoria storica, tutelare il   suo spazio di sovranità e di libertà, affermare in Italia e nel mondo gli interessi dei cittadini e delle imprese italiane.

UNA FILOSOFIA DELL'IDENTITA'

L’esigenza di riscoprire il valore della “Patria” nella politica contemporanea nasce dalla riflessione provocata dagli esiti conseguenti a decenni di rimozione, negazione e svilimento di questo concetto. Processo storico e culturale che ha avuto la sua massima fecondità a partire dagli anni sessanta, che ha prodotto quell’Europa (sia come Istituzione formale che come sommatoria dei suoi singoli Stati) oggi caratterizzata dal mito dell’integrazione e del superamento delle nazionalità, forgiata su apparati burocratici che in luogo di un federalismo rispettoso delle diversità somiglia ormai a un politburo di sapore sovietico. Un’Europa che negando le sue radici giudaico-cristiane e classiche, subordina le esigenze di identità e autonomia dei popoli a quelle di un universalismo radicale che opera in sintonia con un astratto principio multiculturalista, da cui deriva anche l’assenso all’indiscriminato e incontrollato accesso di persone da altri continenti in numeri che prefigurano una vera e propria sostituzione etnica (peraltro, auspicata sin dal 2001 dal Dipartimento Affari Sociali ed economici – Direzione Popolazione dell’ONU con la teoria del remplacement migration per rimpiazzare il calo demografico europeo) e con scenari che somigliano all’inquietante profezia del Campo dei Santi di Jean Raspail; che opera attraverso schemi preconfezionati dall’ideologia del politicamente corretto che Alain Finkielkraut ha qualificato come il “conformismo ideologico dei nostri tempi”, marginalizzando lo spazio di dibattito nel quale si forma l’opinione pubblica e criminalizzando le posizioni eccentriche rispetto a tale schema; e che, come logica conseguenza di tali presupposti, ha prodotto la condizione attuale caratterizzata dalla rinuncia, dall’autocensura e dalla negazione della propria identità.

Per ricostruire l’Italia – e attraverso di essa l’Europa – è necessario sviluppare una “filosofia dell’identità”, nel senso proposto da Renato Cristin: una “teoria di riappropriazione ontologica e di conservazione dinamica dell’identità europea, nella quale si esplicita una critica radicale del multiculturalismo e del politicamente corretto, della tendenza all’autocolpevolizzazione e della retorica dell’alterità”.

Conferire di nuovo un valore centrale al concetto di patria nell’agire politico è una missione particolarmente difficile – e urgente – in Italia. Mentre, solo per stare in Europa, tutte le nazioni hanno uno spiccato senso dell’appartenenza, una chiara rappresentazione degli interessi da difendere, una robusta cornice di miti e riti fondanti, in Italia questi elementi o non esistono o sono stati debolmente riscoperti solo dopo decenni di abbandono. Abbiamo dovuto attendere l’ingresso di Ciampi al Quirinale per riscoprire e valorizzare i simboli, le cerimonie, i riti laici attraverso i quali si manifesta una comunità nazionale, compresa la rivalutazione di quell’inno (fino a pochi giorni fa ancora “provvisorio”) che il nostro Movimento esibisce con orgoglio nella sua denominazione, ma che molti si vergognavano a cantare.

Le ragioni che hanno prodotto, nell’Italia repubblicana, quella che Ernesto Galli della Loggia definisce la “morte della patria” sono note e, per usare le sue parole, nella “situazione apertasi con la crisi del ’43 nessun soggetto politico italiano poté più permettersi di perseguire l’interesse nazionale del paese e basta” e “divenne necessario individuare preliminarmente i diversi progetti stranieri esistenti sull’Italia, e tra essi decidere quale si confacesse di più ai propri convincimenti in proposito”. Una classe dirigente (politica, economica, culturale) che non è stata “educata” a coltivare il sentimento di patria, inevitabilmente soccombe negli scenari internazionali, caratterizzati da una forte competitività, e spesso si fa vanto dell’accondiscendenza verso le ragioni e gli interessi altrui, bollando come “provincialismo” l’atteggiamento contrario. Un progetto politico di lungo respiro che voglia davvero sanare questa ferita, non può che trovare nella scuola e nell’università – e quindi nella formazione di nuove generazioni consapevoli della loro appartenenza a una comunità nazionale

– uno dei terreni privilegiati di impegno.

L’errore capitale commesso nella costruzione dell’Unione Europea è stato quello di voler fare  a meno delle identità delle nazioni che la compongono, ignorando    che le nazioni sono “organismi viventi” (secondo la lezione di Herder): invece di valorizzare queste ricchezze e la loro comune matrice (da cui è nata l’idea stessa    di Europa), i tecnoburocrati di Bruxelles continuano a proclamare (con il supporto di tutto l’apparato mediatico, intellettuale e accademico) l’esigenza di spogliare gli Stati nazionali delle loro prerogative per “cedere sovranità all’Unione Europea”, rendendo i cittadini sempre più distanti da un’Istituzione fredda e astratta. Quando, al contrario, l’unica possibilità che ha una nazione di esistere (Europa compresa)    è quella di rinnovare continuamente l’atto di libera volontà che porta a scegliere     di appartenere a un comune destino. Come diceva Ernest Renan, la nazione è “un plebiscito di tutti i giorni”, e giustamente Giovanni Gentile ammoniva che “suolo, vita comune, comunanza di usi e costumi, linguaggio e tradizione”, sono solo la “materia” di cui è costituita la nazione, che non è tale se non “avrà la coscienza di questa materia e non l’assumerà nella sua coscienza come il contenuto costitutivo della propria essenza spirituale e non ne farà oggetto della propria volontà”. Quel che vale per una nazione vale a maggior ragione per una confederazione di Stati, dove serve uno sforzo supplementare di libera scelta per motivare cessioni di sovranità e sublimazioni di particolarità nazionali.

La debolezza dell’identità culturale delle nazioni europee le rende più soggette all’aggressione dell’Islam radicale e militante, refrattario all’integrazione e nutrito di quella “nevrosi del colonizzato” che Jean Paul Sartre descriveva (e giustificava) quando celebrava con toni apologetici la “violenza irrefrenabile” che avrebbe prodotto “l’uomo nuovo” di “qualità migliore” a spese della civiltà europea “colonialista” e “imperialista”. Accecata dall’autoflagellante condanna dell’odio dello straniero che  le popolazioni autoctone europee manifesterebbero contro i migranti (senza mai cercare di comprenderne davvero  le ragioni di crescente insofferenza), l’ideologia  e le caste dominanti al potere non si accorgono dell’odio dello straniero, inteso nel senso del genitivo soggettivo, e cioè dell’odio che una parte sempre più consistente di stranieri (e persino di cittadini di seconda o terza generazione di origine straniera) nutre nei confronti della popolazione che li ha accolti. Con conseguenze devastanti per la pace sociale e il futuro della convivenza civile come dimostrano le stragi di Parigi, Nizza, Barcellona, Londra, Berlino… Tra queste conseguenze, vi è anche il risorgere di nazionalismi aggressivi e intolleranti e di teorie “suprematiste della razza bianca” che sembravano ormai archiviate dalla Storia. Ora come sempre, l’antidoto alle regressioni nazionalistiche e alla brutale conflittualità che queste produrrebbero, sta nel coltivare un sano sentimento patriottico, fondato sulla  difesa e valorizzazione delle diversità, delle specificità, della ricchezza e pluralità   di culture e stili di vita. Tutto l’opposto della standardizzazione, dell’omologazione, dell’appiattimento richiesti e imposti dalla globalizzazione selvaggia, nella quale si fondono l’utopia internazionalista vetero-comunista, il terzomondismo pauperista e la pratica commerciale mondialista delle grandi multinazionali.

IL RECUPERO DELLA TRADIZIONE

Scrive Marcello Veneziani che “la patria è considerata il luogo dell’identità, come la famiglia. Ma l’identità non è data ab origine e una volta per tutte. Non è inerte, rocciosa e compiuta. L’identità fluisce, si rifinisce per analogia e per contrasto, persiste cambiando. Più che all’identità, allusiva di un’impossibile fissità, meglio allora riferirsi alla tradizione che si trasmette comunicando ed esprime il mutarsi nella continuità. Nella tradizione si diviene ciò che si è, non si è per sempre quel che si è stati una volta. La tradizione non sta, diviene; persiste, ma si modifica”.

Più che escludersi, i due concetti di identità e tradizione si integrano e completano a vicenda. Per quanto i sostenitori della società aperta e della modernità liquida       si sforzino di affermare la possibilità di forgiarsi un’identità del tutto avulsa dalla tradizione che ci è data, imponendo politiche sociali e culturali che in nome del progresso cercano di sradicare dalle fondamenta il modello di civiltà che i popoli europei hanno creato nei millenni, la realtà effettiva ci riporta sempre alla stessa conclusione: nasciamo immersi in un orizzonte, siamo figli di una storia data. Volerla negare significa avviare un processo di letterale dis-integrazione che ci consegna    a un mondo senza senso, senza direzione, senza orientamenti, nel quale la forza o la violenza di una minoranza organizzata e consapevole travolge masse informi e incapaci di reagire. La nostra civiltà è ormai aggredita nelle sue strutture costitutive da un attacco concentrico, portato avanti nel nome della lotta ai pregiudizi, con lo stesso schema ideologico che l’illuminismo per primo inaugurò nella sua crociata in nome della ragione contro l’autorità della tradizione. È nel nome di questa secolare lotta ai pregiudizi che si smantellano le strutture della parentela, la sacralità della vita, la costituzione spirituale della civiltà europea. L’arma più potente nelle mani di chi vuole imporre le politiche gender, le adozioni per le coppie omosessuali, l’eutanasia, la legalizzazione delle droghe (o almeno di quelle cosiddette “leggere”), l’accoglienza buonista e indiscriminata verso i migranti, è quella di crocifiggere gli avversari con lo stigma del “pregiudizio”: sessista, omofobo, xenofobo, razzista, bigotto, intollerante… fino a espellerlo dal consorzio del genere umano (e approvare leggi in Parlamento che puniscono i reati di opinione).

Lo stesso concetto di “pregiudizio” assume una valenza principalmente negativa proprio e solo a partire dall’illuminismo. Perché esistono pregiudizi “negativi” – contro i quali è corretta e legittima la pretesa della ragione di esercitare fino in fondo i suoi diritti – e pregiudizi “positivi” – che si fondano anch’essi sull’uso della ragione e conferiscono autorevolezza a uomini e istituzioni chiamate a svolgere una funzione di direzione o decisione in una società organizzata.

Nella sua lotta ai pregiudizi, gli estremisti del libero pensiero politicamente corretto non si accorgono di essere loro stessi vittime dello stesso meccanismo, che si traduce nel “pregiudizio contro tutti i pregiudizi”. Partendo da questa riflessione, Hans Georg Gadamer si chiede se sia “proprio vero che stare dentro a delle tradizioni significhi sottostare a pregiudizi e subire una limitazione di libertà” e procede a una “riabilitazione di autorità e tradizione” che passa attraverso il riconoscimento che esistono “pregiudizi legittimi” che sono “giustificati e produttivi per la conoscenza”: se è vero che l’autorità è fonte di pregiudizi, “non è escluso che possa essere anche una fonte di verità, ed è questo che l’illuminismo ha misconosciuto con la sua indiscriminata diffamazione dell’autorità”. Diffamazione che ha prodotto nel tempo una vera e propria deformazione del concetto di autorità, ormai sempre più associato terminologicamente a “sottomissione, imposizione, dittatura”, che tanta parte ha nella dissoluzione del rispetto delle Istituzioni e del senso dello Stato. Autorità non è sinonimo di “autoritarismo”, ma è strettamente associato all’autorevolezza che nasce dalla rivendicazione e dal riconoscimento (operato dalla ragione stessa) di una superiore facoltà di conoscenza e migliore capacità di giudizio nell’interesse comune.

Per concludere con le parole di Gadamer, “la tradizione è sempre un momento della libertà (…). Anche la più autentica e solida delle tradizioni non si sviluppa naturalmente in virtù della forza di persistenza di ciò che una volta si è verificato, ma ha bisogno di essere accettata, di essere adottata e coltivata. Essa è essenzialmente conservazione, quella stessa conservazione che è in opera accanto e dentro a ogni mutamento storico. Ma la conservazione è un atto della ragione. (…) Persino nelle epoche di rivoluzione, nel preteso mutamento di tutte le cose si conserva del passato molto più di quanto chiunque immagini, e si salda insieme al nuovo acquistando una rinnovata validità”. Il passato tramandato è qualcosa che ci parla e ci interpella quotidianamente.

RIGENERARE LO SPIRITO NAZIONALE ED EUROPEO

È questo, dunque, il compito che ci assumiamo e che ci attende in questa stagione. Attraverso la riscoperta dell’identità, il recupero della tradizione, il rinnovato senso di appartenenza alla comunità nazionale, si tratta – più che di tornare all’origine – di procedere a una vera e propria rigenerazione del valore della patria. Per farlo bisogna denunciare – come fa Eric Zemmour a proposito della Francia postsessantottina

– la “storia di uno spossessamento  assoluto,  di  un’inaudita  disintegrazione,  di  una dissoluzione nelle ‘gelide acque’ dell’individualismo e dell’odio di se stessi”,        e riappropriarsi in chiave contemporanea degli elementi che costituiscono il fondamento storico, morale e materiale del nostro popolo.

Amare la propria patria e sentirsene parte attiva e consapevole è l’unica ricetta in grado di produrre coesione sociale e generazionale. Senza la prospettiva concreta di vedersi come parte di un percorso che si tramanda di padre in figlio, non possono che prevalere gli egoismi e le conflittualità. Amare la propria patria è la precondizione necessaria per rispettare tutte le patrie e tutti i popoli, per stabilire un dialogo fecondo e foriero di reciproco arricchimento. La negazione delle patrie, al contrario, ha sempre costituito la base profonda dei genocidi fisici e culturali. Amare la propria patria è la sola opportunità che ha il popolo italiano di uscire da uno stato di sovranità limitata, di soggezione culturale e di minorità politico-economica, e di sanare le ferite dell’interminabile guerra civile che ha segnato la nascita della sua storia repubblicana.

Amare la patria è la nostra missione.

PATRIOTI PER DIFENDERE LA NOSTRA SOVRANITA' NAZIONALE IN EUROPA

Un’Europa delle Patrie, ma Patria anch’essa. Charles De Gaulle.

Siamo patrioti ed europei, perché da italiani crediamo nell’Europa dei popoli. Comunità di nazioni, con lingue e tradizioni diverse, che, tuttavia, si sono sempre riconosciute affini. Antiche città, campanili e borghi che disegnano un paesaggio multiforme eppure, nei suoi tratti essenziali, unico. Le sfide che ci aspettano a livello mondiale rendono indispensabile un legame sempre più forte tra i nostri popoli.

Solo l’Europa, nel suo complesso, può competere ad armi pari sullo scenario planetario con potenze come Stati Uniti, Russia, Cina, India e i grandi blocchi emergenti. Non è però l’attuale Unione Europea, segnata ormai da una deriva burocratica, tecnocratica e lobbistica che appare irreversibile, la corretta risposta alle necessità delle Nazioni europee. Noi non ci schieriamo tra i sostenitori di un ingenuo federalismo europeo fatto di ulteriori cessioni di sovranità e nemmeno tra i fautori dell’Europa a due o più velocità.

Reputiamo che si debbano rivedere tutti i trattati europei e ripartire da un nuovo patto, da una Confederazione di Stati liberi e sovrani che cooperino sulle grandi materie strategiche, dalla sicurezza all’immigrazione, dal mercato comune alla politica estera e di difesa, ma senza la tirannia acefala di un’anonima sovrastruttura burocratica incapace di rappresentare le esigenze degli Stati membri e le istanze dei loro cittadini.

In questa ottica, guardiamo con attenzione al “gruppo di Vysegrad” del quale fanno già parte Ungheria, Polonia, Repubblica ceca e Slovacchia, e al quale si potrebbe unire presto l’Austria, quale simbolo dell’opposizione alla degenerazione burocratica dell’Unione Europea e della difesa dell’Europa reale e storica.

Ripensare il rapporto con l’Europa per riprenderci innanzitutto la nostra sovranità nazionale e ribadire che la sovranità appartiene al popolo. Da qui la nostra volontà di revisione costituzionale per consentire agli italiani di esprimersi per via referendaria

sui trattati internazionali e per introdurre nella Costituzione una “riserva disovranità”, sul modello dell’ordinamento tedesco, che impedisca l’adesione a trattati e accordi internazionali o l’introduzione di direttive e/o regolamenti che ledano il nostro interesse nazionale o mettano in discussione la sovranità popolare.

Tornare, inoltre, a difendere i nostri asset strategici e la nostra capacità produttiva diventati terra di saccheggio per il capitalismo straniero, spesso sostenuto da Governi esteri per espandere la propria influenza sul nostro territorio.

PATRIOTI, TRA I PATRIOTI EUROPEI

Il populista è colui che ascolta il popolo. Dostoevskij.

C’è un vento nuovo che soffia sull’Europa, è il “vento dei Patrioti” che sta raccogliendo sempre maggiori consensi in diverse Nazioni europee. I media mainstream lo chiamano con disprezzo “populismo”. Ma il populismo dei movimenti patriottici europei è un “populismo identitario”, in ciò nettamente distinto dal “populismo giustizialista” e demagogico che si è diffuso in Italia.

Dal voto referendario britannico sulla Brexit fino alle recenti elezioni in Francia, Germania, Austria, Repubblica Ceca passando per Polonia e Ungheria,  questo  vento segna la sconfitta dei partiti tradizionali ancorati a una visione europeista e mondialista.

In una società polverizzata, in cui i legami comunitari e i vincoli di appartenenza vengono scientificamente spezzati per costruire una massa di cittadini-consumatori senza storia, senza radici, senza identità, senza patria, senza comunità, senza religione e senza sesso, le forze del populismo identitario rappresentano l’unico antidoto.

Pur nelle grandi differenze e peculiarità nazionali, questi movimenti sono accumunati da determinate battaglie: un approccio fortemente critico verso la deriva tecnocratica dell’Unione Europea e il finto bipolarismo popolari-socialisti, la difesa delle radici cristiane e il contrasto all’islamizzazione; il no fermo all’immigrazione incontrollata; la difesa del tessuto imprenditoriale medio-piccolo dallo strapotere della finanza e delle multinazionali.

L’emergere impetuoso e repentino di queste forze in tutta Europa ha spostato “a destra” l’asse del dibattito politico culturale e con esso le ricette di governo dei partiti di sistema. La peculiarità di Fratelli d’Italia, movimento dei patrioti, è quella di non voler confinare queste pulsioni in una sterile opposizione anti sistema ma renderle una concreta proposta di governo per il futuro dell’Italia.

PATRIOTI, PER UNA NUOVA SOVRANITA' MONETARIA

Quando un governo dipende dai banchieri per il denaro, questi ultimi e non i capi del governo controllano la situazione, dato che la mano che dà è al di sopra della mano che riceve. Napoleone Bonaparte.

La moneta è uno strumento al servizio dei popoli e degli Stati. Rifiutiamo la discussione ideologica che si è innescata sull’euro e reputiamo che la questione della moneta unica europea debba essere trattata in modo realistico e scientifico, senza pregiudizi di sorta.

I dati empirici dicono che l’euro è una moneta che ha avuto effetti distorsivi, anche per gli errori commessi da chi ha definito il rapporto di cambio con la Lira, assolutamente penalizzante per l’Italia. L’Euro di fatto ha arricchito la Germania e impoverito quasi tutti gli altri Stati europei e per questo reputiamo l’implosione dell’Eurozona un rischio reale.

La politica monetaria espansiva attuata dall’attuale governatore della BCE, e la conseguente svalutazione di un euro troppo forte e penalizzante per la nostra economia, ha solo in parte frenato l’egoismo dei banchieri tedeschi. È assolutamente necessario rimettere in discussione il potere di intervento della Bce e il ruolo delle Banche centrali nazionali.

Vogliamo porre seriamente  la  questione  euro  in  sede  europea  e  affermare  la necessità di un sistema di compensazione tra gli Stati membri per bilanciare      gli squilibri causati dalla moneta unica. L’alternativa a un meccanismo di reale riequilibrio non potrebbe che essere l’abbandono concordato e ordinato dell’euro in accordo con gli altri Stati europei.

Porre la questione euro vuol dire anche affrontare l’anomalia tutta europea della sproporzione di forza tra la Banca Centrale e le istituzioni rappresentative della volontà popolare a livello nazionale ed europeo. BCE che, pur mantenendo la sua indipendenza funzionale, deve essere trasformata in prestatore di ultima istanza per contrastare gli attacchi speculativi sui singoli Stati. È di tutta evidenza che il Quantitative Easing ha svolto una funzione storica simile e che, se tale strumento fosse stato varato nell’autunno del 2011, si sarebbe evitato il lungo inverno dei governi non scelti dal popolo.

PATRIOTI, PER UN SISTEMA BANCARIO A SERVIZIO DI FAMIGLIE E IMPRESE

Per qualcuno può essere utile alimentare la stufa con i mobili di casa. Ma non deve illudersi di aver inventato un nuovo brillante metodo per riscaldarsi. Ludwing Von Mises

Nessuna azione di politica economica può essere efficace senza ridiscutere l’intero sistema bancario italiano. Le crisi finanziarie che hanno investito tutto l’Occidente negli ultimi anni hanno messo a nudo un sistema complessivo che non funziona. Bisogna prendere atto che il sistema bancario internazionale agisce con una pericolosa spregiudicatezza, sfruttando la posizione privilegiata assegnatagli dagli Stati e abusando degli strumenti a sua disposizione per perseguire enormi guadagni privati incurante dei rischi e delle conseguenze delle sue azioni.

I fallimenti di molti istituti di credito in Italia e nel mondo sono la conseguenza di questa deriva. Con la situazione paradossale che lo Stato si trova a dover intervenire con risorse pubbliche per salvare degli istituti privati di cui è ormai arduo riscontrare la pubblica utilità.

In questo contesto generale, è necessario contrapporre allo strapotere finanziario un’incisiva opera di controllo e vigilanza affinché le banche tornino ad essere uno strumento al servizio di famiglie e imprese e per la crescita dell’economia reale. Primo passo in questa direzione è la nostra storica proposta di separazione netta tra banche commerciali, impegnate nella raccolta dei depositi ed erogazioni del credito, e banche di investimento per la gestione degli strumenti finanziari complessi.

Vogliamo mettere fine all’inaccettabile impunità di cui ha goduto fin ora il sistema finanziario italiano. Pretendiamo piena luce sulle crisi bancarie che hanno polverizzato i risparmi di molti italiani. Per questo intendiamo istituire una nuova Commissione d’inchiesta parlamentare nella nuova legislatura al fine di stabilire le responsabilità a tutti i livelli, individuare i grandi debitori insolventi, perseguire chi non ha rispettato le regole.

Rivedere il sistema finanziario italiano vuol dire anche ripensare l’utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti, banca posseduta dal Tesoro, per attuare le azioni di politica economica precluse dall’attuale assetto istituzionale ed europeo. Utilizzare la nostra CDP come Francia e Germania utilizzano da sempre le corrispettive BPI e KFW.

PATRIOTI, PERCHE' LE FRONTIERE SI DIFENDONO E L'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA SI CONTRASTA

L’immigrazione non è un diritto, è una concessione che uno Stato accorda in relazione alle proprie necessità. Difendere la Patria èinnanzi tutto difendere le proprie frontiere, anche dall’immigrazione clandestina, per questo intendiamo ripristinare il basilare principio che in Italia non si entra illegalmente, senza eccezioni.

L’Italia ha tutti gli strumenti diplomatici e militari per fermare il flusso di barconi che arrivano sulle nostre coste. È quello che intendiamo fare, in accordo con le autorità del nord Africa, ma senza escludere la possibilità di attuare un blocco navale, anche per contrastare l’inaccettabile comportamento delle ONG nel mediterraneo.

Se la situazione lo rendesse necessario, intendiamo promuovere una missione internazionale di terra per prendere il controllo dei porti da cui partono i barconi della morte e istituire direttamente in nord Africa gli hotspot per verificare le richieste di asilo da suddividere tra tutti gli Stati europei.

Vogliamo rivedere radicalmente l’impostazione di accoglienza di chi si dichiara profugo: chi dovesse riuscire ad entra illegalmente sul nostro territorio deve essere considerato un clandestino “fino a prova  contraria”,  quindi detenuto in un centro  di identificazione ed espulsione, e non ospitato automaticamente in strutture di accoglienza come avviene attualmente. Intendiamo abolire l’anomalia italiana della “protezione umanitaria” e prendere in considerazione solo le poche richieste di asilo di categorie fragili come donne, bambini e nuclei familiari provenienti da conclamate zone di guerra e senza una possibile destinazione alternativa all’Italia.

Nessuna tolleranza per i clandestini, detenzione e rimpatrio immediato per chi entra illegalmente sul nostro territorio. Accordi di rimpatrio stipulati con gli Stati  di provenienza grazie a una politica di sospensione degli aiuti per gli Stati che non volessero collaborare.

Governare l’immigrazione regolare attraverso il decreto flussi vuol dire favorire l’ingresso di chi proviene da nazionalità che hanno saputo integrarsi facilmente senza creare problemi di sicurezza e bloccare, invece, l’immigrazione di quelle nazionalità che si sono dimostrate meno propense ad accettare le nostre leggi e la nostra cultura, come è il caso dell’immigrazione islamica.

L’immigrazione non è un diritto, e la cittadinanza lo è ancora di meno. Non accettiamo lo ius soli né alcun automatismo nell’ottenimento della cittadinanza. Per noi può diventare cittadino solo chi ama l’Italia, parla l’italiano, conosce e rispetta le nostre leggi, la nostra cultura, le nostre tradizioni storiche e religiose.

PATRIOTI, PER AFFERMARE IN OGNI SCELTA IL PRINCIPIO 'PRIMA GLI ITALIANI'

“Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Prima gli italiani. Nel lavoro come nell’attribuzione di sussidi sociali, di alloggi popolari, di accesso agli asili nido deve essere garantita la preferenza nazionale a favore di chi vive in Italia da più tempo e ha contribuito alla sua crescita.

Chi ha contribuito col suo lavoro, negli anni, a fare dell’Italia la Nazione che è oggi, non può ritrovarsi scavalcato sistematicamente dall’ultimo arrivato. Non un meccanismo di discriminazione come qualcuno sostiene, ma un meccanismo di giustizia e di buon senso che tutela anche gli immigrati regolari che vivono in Italia da più tempo.

PATRIOTI, PER UNA NAZIONE CHE ASSICURI SICUREZZA E LEGALITA' AI PROPRI CITTADINI

Spesso commette ingiustizia non solo colui che fa qualcosa, ma anche colui che non la fa. Marco Aurelio

Il compito principale di uno Stato è garantire la sicurezza. Pretendiamo che le nostre città siano posti sicuri dove nessuno debba avere paura di girare per strada o dentro casa, con più forze dell’ordine per il controllo del territorio.

Dopo cinque indulti mascherati in quattro anni, depenalizzazione di una serie   di reati, riduzione dei tempi di permanenza in carcere, è necessario ristabilire il principio della certezza della pena. Costruire più carceri e chiudere accordi con Stati esteri per la detenzione presso le loro strutture dei condannati stranieri.

Lo Stato deve stare dalla parte dei nostri uomini e donne in divisa, senza esitazioni e tentennamenti. Difendere la Patria è anche sostenere chi difende la nostra libertà e la nostra sicurezza. Intendiamo aumentare gli organici delle forze di polizia ed equipaggiarli con la migliore tecnologia disponibile e garantire retribuzioni dignitose. Chiediamo l’abolizione della così detta “legge sulla tortura”, nome a effetto per una legge concepita per legare le mani alle forze dell’ordine, e l’introduzione di norme penali adeguate per punire le aggressioni e gli atti violenti contro i servitori dello Stato.

Ripensare al ruolo del nostro esercito, perché le guerre non si combattono più sui campi di battaglia, si combattono ogni giorno nelle nostre città, contro il terrorismo e la criminalità. Quindi l’utilizzo dell’esercito per garantire la sicurezza deve diventare la regola e non l’eccezione, in un contesto di regole chiare e definite. Occorre, in particolare, ampliare e rilanciare con risorse adeguate, la missione “strade sicure”

che consente, grazie a una legge da noi voluta, il controllo da parte di pattuglie miste di militari e forze dell’ordine delle zone a maggior rischio del territorio italiano.

Se lo Stato, nonostante tutto, non riesce a proteggere i suoi cittadini, non può pretendere che i cittadini non si proteggano da soli. Reputiamo la difesa sempre legittima, dentro casa o dentro il proprio negozio secondo il principio che quando viene violata la proprietà privata ci si trova in una condizione di potenziale pericolo di vita.

Lotta alla corruzione strisciante che ha contaminato lo Stato a tutti i suoi livelli. Chi ama la Patria non tollera che venga depredata dai ladri e dai corrotti. Combatteremo questi parassiti fianco a fianco con i molti italiani onesti e con i veri servitori dello Stato. Perché destra di cui siamo gli eredi non prende lezioni di legalità e di onestà da alcuno.

PATRIOTI PER DIFENDERE LA NOSTRA IDENTITA' DAL PROCESSO DI ISLAMIZZAZIONE DELL'EUROPA

Qual è la mia Italia? Semplice, un’Italia che non si lascia intimidire.

Un’Italia fiera di sé stessa, un’Italia che mette la mano sul cuore quando saluta la bandiera bianca rossa e verde…Guai a chi me la ruba, guai a chi me la invade. Oriana Fallaci

Non abbiamo paura di denunciare apertamente il processo di islamizzazione    in corso del  continente  europeo.  Un  fenomeno  in  gran  parte  voluto, pianificato e sostenuto da Nazioni musulmane come l’Arabia Saudita, il Qatar, la Turchia e spalleggiato dall’ideologia mondialista che vorrebbe negare le appartenenze nazionali e l’esistenza stessa dei popoli europei.

Una “invasione dolce” attuata con l’immigrazione musulmana di massa in Europa, con il finanziamento di moschee, centri culturali, università e con il rafforzamento dell’influenza islamica in occidente negli ambiti economici, finanziari, culturali, sportivi e di informazione. Un fenomeno che non solo mette in pericolo l’identità greca, romana e cristiana dell’Europea, ma che mette in discussione anche i principi di uguaglianza, libertà, democrazia e laicità dello Stato sui quali si basa la cultura occidentale.

Non abbiamo paura nemmeno di dire che le teorie integraliste salafite diffuse apertamente a casa nostra da Stati islamici fondamentalisti sono l’humus nel quale nasce e cresce il terrorismo che insanguina le nostre città. Per questo vogliamo impedire la propaganda integralista in Italia, limitare l’immigrazione islamica in Europa, ribadire che chi vuole vivere in Italia deve accettare la nostra cultura e la nostra identità.

Non intendiamo cedere a chi vorrebbe rimuovere i simboli della nostra tradizione cristiana in nome di un distorto laicismo, alla follia di vietare il presepe e la preghiera nelle scuole o la rimozione dei crocifissi dai luoghi pubblici.

PATRIOTI, PER UNA POLITICA ESTERA CHE TUTELI L'INTERESSE NAZIONALE

L’Italia è parte dell’Occidente, è naturalmente alleata delle Nazioni europee, degli Stati Uniti e degli altri popoli di cultura europea e occidentale. L’Alleanza Atlantica rappresenta il naturale ambito di alleanza militare dell’Italia.

Da ciò non deriva, però, l’accettazione acritica delle decisioni prese dai nostri partner, come hanno invece fatto gli ultimi Governi italiani. Non condividiamo la logica di ostilità nei confronti della Federazione russa, reputiamo invece necessaria e proficua una stretta collaborazione economica e strategica dell’Europa con la Russia anche in chiave di contrasto al terrorismo.

Reputiamo che la distensione dei rapporti tra Europa e Russia, a cominciare dalla fine delle sanzioni economiche, sia la strada migliore per una soluzione condivisa della crisi ucraina e per assicurare nel lungo periodo la pace e la stabilità del continente europeo.

La nostra collocazione geografica ci obbliga a guardare con attenzione al mediterraneo in un’ottica di relazione con il mondo arabo e in particolare con la Libia, principale teatro degli interessi esteri italiani sotto l’aspetto della sicurezza, del controllo delle frontiere, di approvvigionamento energetico. È interesse dell’Italia, dopo il tragico esito delle “primavere arabe”, lavorare per la stabilizzazione del nord Africa e del Medio Oriente, sostenendo i governi che combattono il terrorismo. Ci impegniamo a perseguire la linea “due popoli, due Stati”, che riconosca il diritto alla sicurezza di Israele e quello dei palestinesi a vedersi riconosciuto un proprio Stato.

La credibilità necessaria a difendere i nostri interessi nazionali sul piano internazionale deriva anche da una adeguata capacita militare alla quale l’Italia ha da troppo tempo rinunciato.

PATRIOTI, PERCHE' L'ITALIANITA' E' UN VALORE IDENTITARIO DA TUTELARE NEL MONDO

L’Italia rappresenta nel mondo una specie di minoranza genialissima tutta costituita di individui superiori alla media umana per forza creatrice innovatrice improvvisatrice.

Filippo Tommaso Marinetti

L’Italianità è un valore identitario molto più vasto dei confini dello Stato italiano. Fratelli d’Italia è un nome che riassume la storia millenaria dei moltissimi milioni di italiani che hanno affermato con successo la loro identità nazionale dentro e fuori    i confini della Patria. Condividiamo senso di appartenenza, fratellanza e unicità identitaria che accomuna da sempre i cittadini in Italia con quelli espatriati, che spesso amano la Patria più di chi è rimasto.

Crediamo nel valore assoluto dell’essere italiani in un unico popolo e in una sola Nazione a prescindere dallo Stato in cui si vive. Guardiamo alle comunità italiane all’estero come parte integrante del nostro popolo e come una ricchezza per l’intera Nazione, connazionali ai quali deve essere garantita piena eguaglianza dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione.

Tutelare l’italianità nel mondo anche come prezioso strumento di facilitazione delle relazioni diplomatiche, economiche e commerciali con gli Stati esteri.

PATRIOTI, PER UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE CHE RAFFORZI L'UNITA' NAZIONALE E CONSENTA UNA MAGGIORE AUTONOMIA A LIVELLO LOCALE

“Non intendiamo già di separarci dai nostri fratelli italiani, ma anzi formeremo uno di quei centri che dovranno servire alla fusione successiva, e poco a poco, di quest’Italia in un sol tutto”.

Daniele Manin, eroe veneziano, proclamando la Repubblica di San Marco nel 1848

La sfida alla globalizzazione incontrollata e alle sempre più forti ingerenze esterne alla sovranità degli Stati, richiede un modello istituzionale capace di dare piena legittimità popolare ai vertici dello Stato. Una Repubblica presidenziale o semi presidenziale, con elezione diretta del presidente della Repubblica o del capo del Governo. Un Esecutivo centrale forte accompagnato, però, da una reale autonomia a livello provinciale e municipale.

Una architettura dello Stato coerente con la storia della nostra terra fatta dei molti campanili e delle molte comunità locali che si riconoscono nell’identità nazionale italiana. Nessuna concessione da parte nostra alle spinte che mettono in discussione l’unità d’Italia e alimentano l’egoismo localistico.

La ricchezza delle diverse regioni d’Italia è il risultato di un processo storico e di scelte fatte nel corso dei decenni dallo Stato centrale in una logica di visione unitaria della Nazione, secondo la quale si è reputato conveniente seguire l’impostazione della concentrazione delle attività produttive e degli investimenti infrastrutturali in determinate zone del territorio nazionale. La messa in discussione a posteriori di questa visione generale non solo appare ingiusta nei confronti di quei territori nei quali lo Stato centrale ha investito di meno, ma rischia di indebolire l’intero sistema produttivo nazionale e danneggiare anche le regioni oggi più ricche.

Dare sostanza all’unità nazionale, guardando alle Regioni virtuose di Lombardia e Veneto quale modello di buon governo per il resto  d’Italia  e  garantendo  alle altre Regioni, in particolare del Sud Italia, le condizioni infrastrutturali, logistiche, economiche necessarie alla crescita e allo sviluppo del territorio.

PATRIOTI, PER UNO STATO LEGGERO CON I CONTI IN ORDINE E UN LIVELLO EQUO DI TASSAZIONE

Il bilancio nazionale deve essere portato in pareggio. Il debito pubblico deve essere ridotto; l’arroganza delle autorità deve essere moderata e controllata.

Gli uomini devono imparare di nuovo a lavorare, invece che vivere di pubblica assistenza.” Cicerone

Un Governo forte non è sinonimo di un apparato statale pesante e centralizzato. L’Italia ha bisogno di un Governo con l’autorevolezza necessaria a prendere le decisioni utili alla Nazione e, al contempo, di uno Stato leggero, non oppresso dalla burocrazia, che secondo il principio della sussidiarietà si occupi solo di ciò che i privati non possono fare.

Ridisegnare il perimetro dell’intervento dello Stato liberando interi settori dal monopolio pubblico, o ancor peggio da monopoli privati imposti per legge, e restituirli alla libera competizione, all’efficienza e all’iniziativa degli italiani. Semplificazione della macchina amministrativa e del quadro normativo come presupposto necessario a combattere le inefficienze e la corruzione che ostacolano l’iniziativa privata e limitano i diritti individuali.

Una visione patriottica pretende uno Stato serio e scrupoloso, con i conti in ordine, che combatte gli sprechi e spende solo quanto riesce a incassare con un livello equo di tassazione. Per questo reputiamo che debbano essere inseriti in Costituzione un tetto alla pressione fiscale, lo statuto dei contribuenti e il calendario fiscale secondo il principio che ogni nuova o maggiore imposta deve essere introdotta dal legislatore con un preavviso temporale di almeno due anni, per permettere a imprese e cittadini di adeguare le proprie scelte e i propri investimenti alla nuova situazione.

Siamo favorevoli all’introduzione di una flat tax che comporti una drastica riduzione delle imposte per tutti, prevedendo una sua prima applicazione solo sul reddito incrementale rispetto al reddito dell’anno precedente al fine di stabilire, sulla base di dati certi, quale sia il livello di flat tax sull’intero reddito prodotto compatibile con la tenuta dei conti pubblici.

Rifiutiamo la scorciatoia della spesa pubblica nazionale pagata in deficit con il pretesto di stimolare la crescita economica. Reputiamo che in una economia aperta e interdipendente come quella europea, le politiche espansive sul lato della domanda possano avere effetti positivi solo se attuate a livello continentale. Per questo sosteniamo la necessità di politiche di crescita attuate a livello europeo.

Reputiamo non più rinviabile la riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale. Reputiamo insensato il fiscal compact nei modi e nei tempi previsti dall’accordo, ma sosteniamo la necessità che l’Italia tenda al pareggio di bilancio per la parte corrente dei conti dello Stato, con il deficit pubblico ammesso solo per finanziare investimenti e opere infrastrutturali.

PATRIOTI, PER UNA STRENUA DIFESA DEL MADE IN ITALY E DELLA NOSTRA PRODUZIONE INDUSTRIALE E AGRICOLA

Non siamo protezionisti e contro il libero mercato, ma ci opponiamo al globalismo senza regole sostenuto dalle multinazionali e dalla grande finanza con la complicità dell’Unione Europea.

L’Italia non teme la concorrenza sui mercati mondiali fin dai tempi delle repubbliche marinare. In una economia globalizzata a livello planetario, la qualità e la particolarità della produzione italiana è in grado di conquistare fette di mercato sempre maggiori. Questo però a condizione che si rispettino le regole di una concorrenza leale e che il prodotto italiano sia riconoscibile dal consumatore.

Occorre una maggiore determinazione in sede europea e internazionale per impedire il fenomeno del “italian sounding”, quei prodotti cioè che utilizzano impropriamente il brand Italia pur non avendo nulla di italiano, cominciando con   il rifiutare accordi di libero scambio che non prevedano la totale tutela dei nostri marchi. Vogliamo contrastare la concorrenza sleale di prodotti agricoli e industriali provenienti da Stati che non rispettano le condizioni minime di tutela del lavoro     e dell’ambiente e che producono un pericoloso svilimento del valore del lavoro anche nelle società occidentali. Combattere il dumping economico e sociale anche contestando il nuovo regolamento europeo troppo poco rigoroso in questa materia.

Aiutare gli imprenditori coraggiosi che continuano a produrre e ad assumere    in Italia e ostacolare, come possibile, chi delocalizza all’estero pur continuando a fregiarsi del marchio Made in Italy. Incentivare, anche presso la grande distribuzione, il consumo “a chilometri zero” dei nostri prodotti agricoli. Proteggere le nostre PMI come elemento caratterizzante della produzione italiana, che trova la sua forza nella particolarità e dinamicità precluse alla grande impresa. Sostegno al piccolo commercio come elemento di legame con il territorio e di bilanciamento allo strapotere della grande distribuzione che risponde spesso a logiche sovranazionali.

La crescita economica non la fanno i Governi, la fanno gli imprenditori, i professionisti, i lavoratori con il loro coraggio e il loro impegno. Il compito dello Stato è però garantire le condizioni generali per l’attività imprenditoriale e per attrarre gli investimenti stranieri. È questa la grande debolezza del sistema italiano, un handicap nascosto per decenni dal genio imprenditoriale italiano, ma che deve essere affrontato con urgenza e determinazione. Una giustizia civile efficiente, una burocrazia snella, un adeguato sistema logistico e infrastrutturale su tutto il territorio nazionale, un sistema fiscale equo e certo che favorisca l’economia reale e non quella finanziaria.

Perché l’impresa non è solo il motore della economia e del benessere, è anche parte integrante della identità italiana.

PATRIOTI, PERCHE' IL LAVORO DI OGNI ITALIANO E' PREZIOSO PER L'INTERA NAZIONE

Il lavoro ci farà liberi, la libertà ci farà grandi. Giuseppe Garibaldi

Una Nazione con prolungati ed elevati periodi di disoccupazione è una Nazione povera e disperata, qualunque sia il suo teorico livello di PIL. Difendere il lavoro e combattere la disoccupazione è la grande sfida dell’Italia. Una generazione senza lavoro è una generazione persa e un gravissimo danno per il futuro dell’Italia. La soluzione alla disoccupazione non è l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza o l’intervento diretto dello Stato caro alla sinistra. Il lavoro si crea mettendo le imprese nelle condizioni di operare, produrre ed essere competitive nel mondo.

Ma è necessario tenere presente che non è più vero l’assioma secondo il quale una maggiore produzione comporta automaticamente una maggiore occupazione. Con la globalizzazione, la delocalizzazione di parte della produzione, la meccanizzazione dei processi, si è rotto questo legame diretto. Bisogna pertanto ripensare il rapporto tra Stato e impresa sotto questa nuova realtà.

Lo Stato deve favorire, tramite la tassazione, le imprese che fanno sul nostro territorio un elevato ricorso al lavoro a scapito di quelle a basso rapporto lavoro/ fatturato. Da qui la nostra posizione di  applicazione  della  flat  tax  ridotta  solo  alle imprese che producono in Italia con manodopera locale e l’introduzione di      un meccanismo di super deduzione del costo del lavoro per le imprese oltre un determinato rapporto lavoro/fatturato. Incentivare forme di partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa come miglior antidoto alla delocalizzazione e alla ricerca del profitto svincolato dal livello occupazionale.

Proteggere il lavoro senza inaccettabili differenze di trattamento tra lavoratori. Completare la riforma del contratto unico secondo il modello di pari diritti di tutti i lavoratori, mantenendo il principio delle tutele crescenti e senza alcuna demagogica apertura alla reintroduzione dell’articolo 18.

Valorizzare tutte le  componenti  che  determinano  il  livello  occupazionale della Nazione, dando il giusto riconoscimento al lavoro autonomo come elemento fondamentale della società a partire dall’introduzione di un sistema unico di ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori. Tutelare le professioni, eccellenza italiana, come forza produttiva e autonoma di difesa dei diritti dei cittadini.

Vogliamo mettere in campo un imponente piano d’urto per combattere la disoccupazione giovanile. L’Italia sta perdendo una intera generazione di giovani esclusi dal lavoro e dalla possibilità di un futuro sereno.

Sono loro i profughi di cui vogliamo prenderci cura puntando, in aggiunta alle misure di incentivo fiscale all’assunzione, sulla formazione specifica e mirata, sulla valorizzazione dei lavori tradizionali e dell’artigianato di qualità, su strumenti efficienti di incontro tra domanda e offerta di lavoro, sull’incentivo  all’imprenditorialità giovanile.

PATRIOTI, PER SCOMMETTERE SUL VALORE DEI NOSTRI GIOVANI

Il record negativo italiano della disoccupazione giovanile e la debole crescita economica rispetto al resto d’Europa sono anche il risultato di un errato approccio dell’Italia alle nuove generazioni. Nonostante il dinamismo e l’intraprendenza dei nostri giovani, è il sistema nazionale per come è concepito a costituire un ostacolo alla piena realizzazione dei ragazzi e delle ragazze italiane.

Un sistema che protrae oltre il dovuto l’età della dipendenza dalla propria famiglia e ritarda l’ingresso nel mondo del lavoro. La sfida è garantire ai giovani italiani la stessa competitività dei loro coetanei europei, la scelta è obbligata: finire la scuola a 17 anni, come avviene in gran parte dei Paesi occidentali, e finire il ciclo universitario in 4 anni, a 21 o 22 anni, come avviene in gran parte del mondo. È impensabile competere ad armi pari quando i nostri giovani si diplomano a 19 anni e si laureano a 25.

Altro elemento irrinunciabile, se vogliamo dare ai giovani italiani delle prospettive di crescita lavorativa e sociali, è la creazione di una generazione pienamente bilingue, con la perfetta padronanza della lingua inglese. Considerare lo sport, sul modello virtuoso islandese, un diritto – dovere di tutti i bambini e i giovani, come elemento essenziale di salute, benessere, socialità e contrasto alle devianze giovanili come droga, fumo e abuso di alcol. Mettere in campo un piano capillare per creare strutture sportive e spazi dove praticare sport in ogni scuola, quartiere, parco d’Italia.

PATRIOTI, PER UN WALFERE INCENTRATO SULLA FAMIGLIA, LA NATALITA' E LA DIFESA DEI PIU' DEBOLI

“Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Gilbert Keith Chesterton

È tempo che il nostro popolo riscopra la solidarietà che gli è propria e torni ad agire come una vera comunità nazionale che protegge e tutela tutti i suoi cittadini, a partire dai più deboli. Uno Stato evoluto deve assicurare un pasto e un tetto in un dormitorio pubblico ai suoi cittadini più bisognosi, e al contempo non deve tollerare che persone in difficoltà siano costrette a mendicare, o peggio che qualcuno lucri con l’accattonaggio.

Ma lo Stato da produttore inefficiente di beni e servizi per la collettività deve tornare a garantire la solidarietà nazionale attraverso il sostegno diretto a chi è in difficoltà. L’uguaglianza  economica non è una finalità etica che attiene allo Stato,    lo è invece operare per ridurre la povertà e assicurare a tutti la crescita sociale ed economica.

Rifiutiamo la visione assistenzialista del reddito di cittadinanza, reputiamo invece che lo Stato debba sostenere concretamente chi, per dati oggettivi, è impossibilitato al lavoro: bambini, disabili, anziani.

Intendiamo riformare l’intero sistema del welfare nazionale per garantire un sostegno reale e dignitoso alle persone disabili e per assicurare un adeguato livello di sussistenza ai nostri anziani, alzando la pensione minima anticipando l’età della pensione sociale per chi è privo di reddito a 60 anni.

Reputiamo che il sistema pensionistico debba essere incentrato sul principio di equità intergenerazionale: un unico sistema valido per tutte le fasce di età, che sia il più generoso possibile compatibilmente con la tenuta dei conti pubblici, ma che non scarichi più l’onere dell’intero sistema sulle generazioni future, come avvenuto fin ora. Bloccare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita.

PATRIOTI, PER FARE DELL'INCENTIVO ALLA NATALITA' LA PRIORITA' DELLA NAZIONE

Intendiamo far diventare la questione demografica la priorità dell’azione pubblica, su cui misurare ogni cosa. Se non si accresce la natalità non si potrà in alcun modo sostenere l’attuale livello di benessere e il necessario equilibrio generazionale. Perché un popolo che non fa figli è un popolo destinato a scomparire.

La nostra priorità è difendere la natalità e la famiglia naturale, quale architrave della nostra società e il primo nucleo di solidarietà. Vogliamo avviare una rivoluzione del welfare che metta la famiglia al centro dello Stato sociale e al centro di ogni scelta della politica e delle Istituzioni, ad ogni livello e in ogni ambito. Vogliamo sostenere con forza la natalità, vogliamo far uscire la nostra Nazione dall’inverno demografico che sta vivendo perché non ci arrendiamo all’idea che il popolo italiano debba estinguersi.

A partire dall’introduzione di un effettivo e consistente reddito d’infanzia per ogni minore a carico; introduzione del principio del quoziente familiare in ambito fiscale; asilo nido come diritto per tutti; deducibilità del costo del lavoro domestico; rilancio e difesa del lavoro delle giovani madri; incentivi alle aziende che assumono donne in età fertile; eliminare l’IVA sui prodotti dell’infanzia e il riconoscimento dei figli come arricchimento e investimento economico dell’intera società.

Difendere la famiglia e la nostra identità vuol dire anche difendere i nostri figli dall’aggressione dell’ideologia gender che vorrebbe cancellare la differenza tra uomo e donna e imporre nella nostra società l’assurda utopia del neutro e la follia delle adozioni per le coppie omossessuali.

PATRIOTI, PER VALORIZZARE IL NOSTRO PATRIMONIO ARTISTICO, ARCHEOLOGICO E PAESAGGISTICO

“Chi vuole fare il giro del mondo non deve cominciare dall’Italia, perché lo splendore del suo sole fa impallidire tutto ciò che si vede dopo”. Joseph de Maistre

Se l’Italia si distingue nel mondo è innanzitutto per il suo sterminato patrimonio di beni culturali, artistici e archeologici. Non è un caso che la Carta Costituzionale italiana è stata la prima al mondo ad annoverare la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione tra i principi fondamentali dello Stato.

Un patrimonio composto da una miriade di centri storici, di villaggi, di panorami rurali e paesaggi montani che dobbiamo re-imparare a vivere e non solo a visitare. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che Il paesaggio è qualcosa di più della somma di singole particelle catastali e, nel suo insieme, è un bene estetico che appartiene all’intera Comunità da difendere dai lottizzatori abusivi che in modo predatorio hanno impunemente “violentato” negli anni il nostro territorio.

Vogliamo tornare a difendere il bello come elemento peculiare delle nostre città, pensate per essere abitate da persone in carne ed ossa, e non per soddisfare gli appetiti eccentrici delle archistar o l’ideologia funzionalista che costringe gli individui in periferie desolanti e in condomini alveare.

L’Italia è un museo “diffuso”, ma è anche il teatro, le fondazioni sinfoniche, il balletto, l’opera, le tradizioni popolari, le rievocazioni storiche. La cultura è fondamento e orgoglio del nostro popolo, e per questo un bene universale, a cui tutti devono poter accedere, senza limitazioni.

È necessario realizzare un meccanismo fiscale di deducibilità dal reddito delle spesa sostenute per il consumo culturale individuale, dando un nuovo impulso all’intero indotto del sistema cultura.

L’Italia  è il giacimento culturale più importante dell’Umanità. Da sempre faro   di civiltà, cultura, arte e scienza. La Patria del bello e del ben fatto, il luogo in cui risiede la maggior parte dei beni archeologici e architettonici del mondo, centro del Cristianesimo e del Rinascimento.

Essere italiani è un privilegio, perché abbiamo la possibilità di godere di tutto questo, ma anche perché abbiamo questaimmensarisorsada trasformare inricchezza e opportunità.

Puntare sulla specificità italiana vuol dire valorizzare il suo tesoro ambientale e culturale, da mettere a frutto con intelligenza e passione anche in senso economico, puntando seriamente sul turismo.

Far diventare l’Italia il tempio della bellezza, il posto da vedere e dove soggiornare, il luogo ideale dove far trascorrere la “vecchiaia dorata” ai pensionati di tutto il mondo, anche grazie a un regime fiscale di favore.

PATRIOTI, PER DIFENDERE L'AMBIENTE E LA NATURA DELLA NOSTRA TERRA

Amo tre cose …amo il sogno d’amore di un tempo, amo te e amo questa terra. Knut Hamsun

Chi crede nella Patria protegge la terra dei suoi padri per consegnarla ricca e incontaminata ai suoi figli e alle generazioni future. Difendere l’ambiente, la natura, i fiumi, i boschi, “quell’equilibrio da mantenere a tutti i costi per noi e per chi verrà dopo di noi, fra cento o duecento anni”, come diceva il patriota ecologista Paolo Colli.

Vogliamo difendere il territorio e la natura aggrediti dall’incuria e dall’abbandono, principale causa di incendi e del dissesto idro geologico. Siamo ospiti di questa terra, non ne siamo i padroni, ed è un nostro dovere preservare il patrimonio naturalistico italiano, perché per noi la nostra terra è sacra, ma anche perché è parte fondamentale della nostra ricchezza agricola e turistica.

Vogliamo fare dell’Italia un esempio virtuoso nel mondo di contrasto all’inquinamento, di avanguardia per le fonti rinnovabili, per la messa al bando dei materiali non biodegradabili che uccidono la nostra terra e i nostri mari.